07/04/2020

Come incide una pandemia sulla gestione della salute e della sicurezza? Qual è l’approccio più corretto riguardo a valutazione dei rischi e DPI? Intervista all’avv. Maria Giovannone, responsabile scientifico SSL Anmil.

Se vogliamo affrontare meglio l’attuale emergenza COVID-19, con particolare riferimento al suo impatto sul mondo del lavoro e sulla sicurezza, è utile fare riferimento anche alle esperienze passate di emergenza e alle problematiche a suo tempo sollevate.

Ci sono studi e saggi in Italia sull’impatto in ambito lavorativo di precedenti virus epidemici o pandemici influenzali? Quali sono state le criticità nella gestione delle emergenze? Quali le difficoltà nell’attuare idoneamente le misure di prevenzione primaria?

Per affrontare le criticità dell’attuale emergenza partendo anche da precedenti esperienze e studi passati sulle conseguenze delle pandemie, abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda alla Avv. Maria Giovannone, Responsabile scientifico Ufficio salute e sicurezza sul lavoro Anmil onlus e consulente in materia di salute e sicurezza sul lavoro e modelli di organizzazione.

Come ci racconta nell’intervista, l’Avv. Maria Giovannone ha infatti già affrontato in passato questi temi attraverso un documento pubblicato sul bollettino ADAPT del 6 ottobre 2009, in collaborazione con il Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi, dal titolo “Pandemia influenzale e ambienti di lavoro: tutela della salute pubblica e impatto sulla organizzazione del lavoro”. Un documento curato da Michele Tiraboschi (Professore ordinario di Diritto del lavoro presso l'Università di Modena e Reggio Emilia) e Maria Giovannone.

Nell’intervista si cerca non solo di capire come incide una pandemia, come quella correlata al virus Sars-CoV-2, sulla gestione della salute e della sicurezza in azienda, ma anche di avere un’opinione su vari aspetti: le opportunità offerte dallo smart working, la valutazione dei rischi, la dotazione di dispositivi di protezione, le responsabilità datoriali e la validità del “ Protocollo condiviso” firmato dalle parti sociali.

Questi gli argomenti affrontati nell’articolo:

  • La gestione della pandemia e il lavoro agile
  • Valutazione dei rischi, DPI e responsabilità dei datori di lavoro
  • La malattia da COVID-19 e la valenza del protocollo condiviso

La gestione della pandemia e il lavoro agile

Il COVID-19, ufficialmente definito pandemia dall’OMS lo scorso 11 marzo, sta mettendo a dura prova la vita delle persone colpite e dei lavoratori dei settori più esposti che continuano a dare il loro contributo, anche in assenza dei necessari dispositivi di protezione individuale ed in condizioni di lavoro poco sicure. A suo avviso, da esperta che studia queste tematiche da lungo tempo, come incide una pandemia sulla gestione della salute e della sicurezza in azienda? Le misure adottate dai provvedimenti del Governo sono adeguate a gestire l’emergenza in corso?

Maria Giovannone: Mi fa piacere avere l’opportunità di confronto con Punto Sicuro su questo delicato tema, considerato peraltro che me ne sto occupando molto in questi giorni, nel corso della mia attività di consulenza e assistenza alle imprese, e che ho avuto modo di parlarne approfonditamente nell’ambito di un interessante webinar organizzato lo scorso 27 marzo.

Chiaramente, nell’approcciare l’argomento, non posso non rivolgere un pensiero preliminare a tutti gli operatori del sistema sanitario nazionale che, come tutti i lavoratori dei comparti considerati essenziali, anche ai limiti della resistenza fisica, incessantemente continuano a fornire il loro contributo umano e professionale nella lotta al virus; spesso anche a “mani nude”, in assenza dei necessari DPI.

Lo scenario del mondo del lavoro, in continua evoluzione in questi giorni, mostra come la pandemia, nell’arco di poche settimane, possa mettere in seria difficoltà il sistema economico e produttivo del nostro Paese, nel contesto delle catene globali del valore, minandone le fondamenta e gli asset ma, d’altra parte, necessariamente stimolando risposte ordinamentali che, attraverso una rapida produzione normativa e regolamentare, incidono inevitabilmente anche sulle consuete regole di funzionamento della gestione degli adempimenti prevenzionistici sul posto di lavoro.

Ritengo pertanto che, nel parlare di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro nel corso dell'emergenza COVID-19, dobbiamo tenere presente che la normativa emanata nel nostro Paese, dallo scorso febbraio e tuttora in corso, volta a fronteggiare gli effetti sanitari, sociali, economici e lavoristici della pandemia, miri al bilanciamento di più valori costituzionali, quali: la salute, la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di iniziativa economica privata, il diritto al lavoro ed alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta di una operazione molto delicata e tutt’altro che scontata, specie in un ordinamento giuridico come il nostro in cui, diversamente da altri Paesi (come la Germania, la Spagna, la Francia o gli Stati Uniti), non esiste una norma - né di rango costituzionale né di legge ordinaria - precipuamente diretta alla gestione delle emergenze sanitarie.

Un bilanciamento di valori che attinge alle sensibilità sociali, morali e giuridiche più profonde ed il cui risultato pratico, rebus sic stantibus (stando così le cose, ndr), integra un cosiddetto “testo unico dell’emergenza”, fatto di regole speciali che si succedono nel tempo in modo rapido e che tutti gli addetti ai lavori – consulenti, avvocati, medici, RSPP, RLS, CSE, CSP, esperti di organizzazione aziendale, psicologi - si trovano a dover “maneggiare”, senza tuttavia perdere di vista il contesto ed i principi generali dell’ordinamento vigente. A questo principio, a mio avviso, va quindi ispirata tutta l’attività di consulenza e assistenza alle imprese ed ai lavoratori in questo periodo, sin dalla elaborazione degli appositi protocolli di sicurezza. 

Per i settori non interessati dalla sospensione delle attività, i provvedimenti di urgenza hanno promosso il ricorso allo smart work sostanzialmente in deroga alla disciplina ordinaria. Queste norme, secondo lei, sono fonte di un maggior rischio o di una nuova opportunità per i lavoratori e le aziende interessati?

M.G.: Lo scenario globale ci mostra come la pandemia da COVID-19 stia impattando su un mondo del lavoro fortemente digitalizzato, i cui modelli di organizzazione sono già da tempo in evoluzione.

Un esempio emblematico, a tal riguardo, è sicuramente rappresentato dalla mutata ratio di impiego, nel contesto emergenziale, dello smart work (lavoro agile) che, da strumento innovativo di welfare aziendale per l’incremento della produttività ed il migliore bilanciamento tra vita personale e vita lavorativa - come era stato concepito nella sua legge istitutiva ( l. n. 81/2017) - è stato convertito in un incredibile strumento per il migliore bilanciamento tra salute pubblica, sicurezza sul lavoro e conservazione del posto di lavoro; ciò a fronte della ben più drammatica prospettiva delineata dalla crisi aziendale, dal ricorso alla cassa integrazione, dalla sospensione totale delle attività ovvero dalla diffusione ancor più rapida della infezione virale, negli ambienti di lavoro in cui si continua ad operare in assenza di idonee protezioni.

Alla luce di queste considerazioni, pertanto, intravedo nell’uso dello smart work una grande opportunità, non soltanto di gestione dell’emergenza, ma anche di ripensamento serio delle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato anche per il futuro. Chiaramente, ciò sempre che la modalità agile sia compatibile con le mansioni svolte e che ne venga garantito un utilizzo rispettoso della disciplina lavoristica vigente e, al tempo stesso, delle norme prevenzionistiche e di tutela della privacy richieste.

Fonte: PUNTO SICURO

Intervista a cura di Tiziano Menduto